Beatrice Ciatta
Il pianto nei primi mesi.
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E’ impossibile viziare un bambino nei primi quattro mesi di vita. Lasciare piangere un neonato non gli insegnerà a essere autonomo più di quanto il lasciargli un pannolino sporco riuscirà ad irrobustirgli la pelle” Harvey Karp
Sono diventata zia, mia nipote ha giusto quattro mesi e piange solo quando qualcosa la disturba davvero, quando per un motivo o per l’altro ha dovuto aspettare per essere allattata ma prima di arrivare a questo, come tutti i bambini mette in atto tutta una serie di sforzi comunicativi, tra cui il suo famigerato e spassosissimo urlo dell’aquila, uno, unico, deciso e acuto “aaahh”, poi aspetta…quel che può, la semplice e geniale frase del maestro Alberto Manzi:

vale per tutti, a tutte le età e non solo a scuola.
I bambini nascono con un loro modo di comunicare, che per loro è vitale, e questo modo comprende il pianto.
In passato avevo sentito tante volte dire “Lascialo piangere che si fa i polmoni”, in realtà ancora oggi si "suggerisce" al genitore di non prendere subito il bambino in braccio, perché cosi impara a consolarsi da solo, addirittura a prenderlo subito pare si rischi che impari a usare il pianto in modo furbo.
I miei primi mesi da mamma due libri mi hanno accompagnata, il concetto del continuum di Liedloff e Besame mucho di Gonzales. Entrambi gli autori insistevano sul fatto che ignorare il pianto di un bambino minasse la fiducia nella sua capacità di espressione (e quindi l’autostima) e nella sua efficacia a chiedere aiuto e sostegno (autoefficacia).
E’ verosimile che i bambini percepiscano la mancata risposta ad un loro bisogno da parte dei genitori come una loro incapacità di ottenere ciò di cui hanno bisogno? Vero è che molti dopo un po’ smettono di piangere, se il piccolo tace dopo un lungo pianto non è perché ha imparato un po' di più sulla capacità di autonomia, di solito è semplicemente esausto e forse anche disperato, nel senso etimologico di ha perso la speranza di poter essere confortato.
Invece si fa pensare ai genitori che la loro pronta risposta al pianto, prendendo in braccio il bimbo, cullandolo e allattandolo sia la strada maestra per viziarlo. Mi son chiesta come si possa viziare un essere di pochi mesi o addirittura giorni, che da solo non può fare nulla, non sa girarsi, pulirsi, grattarsi, mangiare, coprirsi se ha freddo o spogliarsi se ha caldo. Sta piangendo per disturbarci e farci diventare matti? o ci sta comunicando qualcosa? Comunica!! lo sappiamo, ma ce ne dimentichiamo, comunica freddo, caldo, sete, fame, sonno, dolore, tristezza, fastidio si tratta sempre e comunque di disagio. Di solito già piccolissimi provano a comunicare in altro modo il loro bisogno e solo quando non viene colto in tempo, arriva al pianto. Anche in caso di fame, il mio bimbo come immagino tutti, prima si girava alla ricerca del seno, portava le manine alla bocca e poi piangeva. Spesso quello che viene ancora detto è proprio di aspettare il pianto e io mi chiedo perché? perché se il neonato si è già sforzato di farsi capire?
A noi piace non essere ascoltati dal partner? Essere ignorati dai colleghi? In una situazione per di più di totale impotenza e dipendenza, proviamo a pensare come ci sentiremmo? Suppongo arriveremmo a parlare e giustamente di mancanza di rispetto o addirittura di sopruso e nei casi peggiori di violenza psicologica. Il bambino invece, non può dire nulla ma quando non gli si risponde in maniera adeguata e si estingue il pianto ecco piantato il primo seme della rassegnazione o se non accetta la non risposta e il pianto aumenta di intensità ecco piantato il seme della frustrazione/rabbia.
Il bambino, invece il cui pianto viene considerato un importante modo di comunicare, usa sempre meno questa modalità, solo in casi disperati (capita di essere sotto la doccia, di guidare o che il bambino sia ammalato), perché i bambini, essendo capiti e sentendosi accolti, si sforzano molto di più di comunicare in altro modo il loro disagio. Passano presto ad altri modi di comunicare o comunque riescono ad attendere sempre di più che il bisogno venga soddisfatto. È come se il bambino dicesse “Aspetto a piangere, perché so che la mia mamma/papà è attenta a me, quindi magari insisto con il ciucciarmi le manine per farle capire che ho fame…prima di passare alle lacrime”, mia nipote fa esattamente così.
Quando si diventa mamma è necessario capire quanto sia fondamentale considerare ogni bisogno del nostro bimbo degno di nota, senza sentirsi infastiditi dalle sue continue richieste. Da donna, non solo mamma dico che a volte tutte vorremmo avere tempo per riposare, preparare un pasto decente, leggere, lavorare o farsi una doccia meno veloce e tempo non c’è, ma bisogna sforzarsi di ricordare che ogni bambino/a col pianto sta esprimendo un suo bisogno e non sta volontariamente impedendoci di soddisfare i nostri.
Certo che capita di essere davvero stanche, di avere un insopportabile bisogno di dormire, ma se siamo arrivati fin qui, se siamo diventati genitori abbiamo il dovere di restare in ascolto, di restare. I bambini ascoltati e accolti anche nei momenti più difficili imparano prima a mostrare in modo efficace le proprie esigenze e bisogni, e non piangono tanto o restano “apatici” come quelli che invece vengono lasciati a loro stessi. Attraverso il nostro sforzo di ascolto costante i bambini si sentono visti, percepiscono di essere persone importanti e degni di considerazione.
“…una persona non potrà mai essere sicura di essere accettata dagli altri finché l’accettazione non gli verrà dimostrata in modo attivo” Thomas Gordon
"Tutti i bambini sono buoni ma riescono a saperlo solo di riflesso, grazie al modo in cui vengono trattati." J. Liedloff
Liedloff J. (2000) Il concetto di continuum. Edizioni La Meridiana.
Gonzales C. (2012), Besame mucho. Coleman Editore.