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  • Immagine del redattoreBeatrice Ciatta

Il pianto. Lettera a mio figlio.


Settembre 2012


Caro Noah Pietro,

quando ti aspettavo, il mio corpo si preparava seguendo stadi di sviluppo prestabiliti, da zigote a morula ad embrione, andava avanti per conto suo senza che io sapessi e facessi niente seguendo insieme biologia e saggezza della natura. In realtà io ti aspettavo nella mia mente e nel mio cuore da anni e volevo che nell'accoglierti mi guidasse qualcosa di più di un intenso e radicato desiderio di maternità, di darti al mondo, volevo essere pronta ad essere non solo madre ma la tua mamma.

Come sai amo leggere e così mi sono immersa in varie letture, alcune teorie ed alcune esperienze mi sono subito sembrate molto lontane da me, stonate, altre invece le ho sentite risuonare dentro di me. Erano quelle che cozzavano con la maggior parte dei consigli che avevo sentito nel corso degli anni, insegnarti a dormire da solo, solo nel tuo lettino e possibilmente solo nella tua stanza, a dare un tempo alla tua fame e ad usare con parsimonia le mie braccia per portarti, a proporti il primo nutrimento diverso dal mio latte quando lo stabiliva un calendario e non quando tu me lo avresti fatto capire.

Non nascondo che in parte, questi consigli, modi di prendersi cura non mi dispiacevano del tutto perché tutelavano i miei bisogni: quello di dormire, di avere più tempo per gestire la casa, forse lavorare. Però tra me e me pensavo, sono io che ho voluto te e non tu che hai voluto me, tu sei piccolo e totalmente dipendente da me, non io da te ma non sono arrivata subito alla conclusione giusta per noi. Certo io dovevo restare in ascolto dei miei bisogni e delle mie emozioni ma come minimo ti dovevo lo stesso servizio.

All’inizio non è stato facile farlo ero molto addolorata, nello spirito per la perdita del mio papà, ero e sono arrabbiata col fato, perché lui avrebbe dovuto esserci, voleva così tanto esserci, ero provata nel corpo per il post operatorio e tutto mi sembrava per sempre, soffrire, non dormire, allattare, tirarmi il latte, non potere semplicemente compiere l’atto di stendermi come volevo e soprattutto quando volevo io. E allora sì che il tuo pianto mi colpiva e diventava un tutt’uno col mio dolore, non potevo ancora distinguere e confondevo spesso le tue emozioni e sensazioni con le mie. Allora mi sono fermata perché così era veramente difficile, volevo continuare a rispondere ai tuoi bisogni senza confonderli con i miei, perché solo così avrei potuto soddisfare o perlomeno riconoscere quelli di entrambi.

Ora posso stare col tuo pianto senza che sensi di colpa e di inadeguatezza mi investano o come mi dicono giovani e vecchie mamme senza dovermi fare il cuore duro, perché se io ti ascolto e sto coi tuoi bisogni so che il tuo pianto è comunicazione non disperazione e non mi colpisce più come prima, come un’accusa.

Questo non vuol dire annullare me stessa, non potrei più essere la tua mamma se lo facessi, vuol dire solo ridurre il tempo e lo spazio per me, per un tempo che è tutt’altro che senza fine, come a volte sembra, è tanto ma alla fine quando scorre veloce ed è già alle spalle ci si accorge che si è trattato di una manciata di anni.

Questo non vuol dire precipitarmi a soddisfare ogni tuo bisogno, se piangi nel seggiolino dell’auto capisco che mi stai dicendo che non ti piace più starci o che sei stanco, ma li rimani perché soddisfa il tuo bisogno di sicurezza che è prioritario.

Ci sono stati una piccola serie di miracoli o coincidenze o piccole coincidenze miracolose che mi hanno dato fiducia, è capitato ti chiedessi 5 minuti per mangiare e tu me li lasciavi (molto rigoroso sui tempi), ti spiegavo che dovevo farmi la doccia e mentre la facevo, cantando per te, tu restavi nella tanto odiata sdraietta senza piangere. Questo mi ha dato la fiducia di essere sulla strada giusta, la nostra strada, va bene per noi, non dico che deve andare bene per tutti, mi ha fatto fidare delle miei intuizioni e mi ha fatto fidare di te. Tu non piangi o strepiti perché sei un piccolo tiranno manipolatore, tu comunichi nell’unico modo che puoi, modo che si va diversificando e raffinando nel tempo prima era solo pianto ora vocalizzi, hai i tuoi ahhahah variamente modulati per dire che stai diventando impaziente…tu comunichi come tutti i cuccioli comunicano dalla notte dei tempi.

A volte è difficile, a volte sono stanca e il tuo pianto mi irrita, mi colpisce dritto in testa e al cuore e ti parlo, ti dico che la mamma è stanca, altre volte siamo molto fortunati, ci sono i nonni, gli zii, la sera c’è papà, quando sono sola (il più delle volte) ti chiedo un minutino, non sempre me lo dai, ma di solito me lo prendo e torno da te più pronta a consolarti. Più cresci e più il nostro dialogo si affina e raffina.

Non so se questo davvero farà di te una persona serena, hai solo 5 mesi ma sorridi a tutti (beh non hai ancora la paura dell’estraneo), se tu avessi già 40 anni forse potrei avere la certezza di aver fatto un buon lavoro, per ora so che faccio il meglio che so fare, che ti tratto come vorrei essere trattata io.

In tutto questo percorso, dalla gestazione ad oggi, non sono mai stata sola, certo sola a causa della distanza da famiglia e amici e per gli impegni lavorativi del tuo papà, ma non sola nelle scelta di essere una mamma in ascolto, perché poco, niente o tanto consapevoli a livello teorico, tu hai dei nonni, degli zii e un papà che hanno rispettato il mio modo di essere con te, tutti ti amano e "ti vedono."


Marzo 2022


Ps: 10 anni dopo, sei rimasto molto socievole, qualche sorcio verde me lo hai fatto vedere e i miei nervi scoperti sono stati toccati innumerevoli volte, ho detto spesso troppo, ho alzato i toni, quanti errori soprattutto qualche anno dopo!! ma tutto sommato, con tanta fatica, tantissime chiacchierate, litigate mica poche e anche forti ma altrettante forti risate pare stia andando bene, ma non hai ancora 40 anni e si affaccia la preadolescenza.

Continuo a studiare, a lavorare coi bambini, faccio del mio meglio per essere un adulto sufficiente buono da avere accanto e questo lavoro incessante mi ha fatto il dono, parafrasando una frase di Galimberti che mi hanno riportato proprio oggi, “di non vivere (e fare la mamma) a mia insaputa”.


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